Le disposizioni emergenziali introdotte con i recenti interventi normativi, volte al contenimento ed alla gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid- 19, hanno imposto, come noto, la chiusura di molteplici attività imprenditoriali ed esercizi commerciali, ad eccezione di quelli individuati negli allegati 1 e 2 del DPCM dell’11 Marzo 2020 che rientrano nella categoria delle attività di commercio, all’ingrosso o al dettaglio, ritenute essenziali per la sussistenza della persona. Tuttavia, la concreta impossibilità di svolgere attività lavorativa per un certo lasso temporale, oltre a comportare inevitabilmente l’assenza di ricavi, si traduce, non di rado, nella difficoltà (se non addirittura nella impossibilità) di far fronte alle diverse spese da sostenersi, tra le quali, spesso, vi è la corresponsione del canone di locazione. Analizzando la disciplina dei recenti Decreti Legge (D.L. n. 6/2020, n. 9/2020 e n. 14/2020) e dei successivi DPCM nulla è stato previsto in merito alla questione della corresponsione dei canoni di locazione (sia ad uso commerciale che abitativo) per il periodo di lockdown, continuando pertanto a trovare regolare applicazione la relativa disciplina prevista dal Codice Civile e dalla Legge n. 392/1978 (per le locazione ad uso abitativo). Solo con il Decreto Legge 17 Marzo 2020 n. 18 (cd. “Cura Italia”), recante la disciplina sulle “Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”, si è cercato di arginare gli effetti negativi derivanti dalle misure di prevenzione e contenimento connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19, adottando misure che possano rendere sostenibile e meno gravosa la corresponsione del canone di locazione; tuttavia, tali misure ineriscono esclusivamente ai contratti di locazione commerciale e sono applicabili unicamente a talune categorie di imprenditori i quali devono, peraltro, svolgere la propria attività commerciale in specifiche categorie di immobili.
Locazioni ad uso commerciale
Per chiarezza, è opportuno preliminarmente evidenziare che con le disposizioni introdotte con il Decreto Legge “Cura Italia” non è stata prevista alcuna sospensione del pagamento del canone di locazione commerciale né alcun diritto ad un’automatica riduzione dello stesso. L’art 65 del D. L. n. 18/2020 – rubricato “Credito d’imposta per botteghe e negozi”- riconosce ai soggetti esercenti attività d’impresa, per l’anno 2020, “un credito d’imposta nella misura del 60% dell’ammontare del canone di locazione, relativo al mese di marzo 2020, di immobili rientranti nella categoria catastale C/1”. Per chiarire la portata della disposizione testé richiamata è opportuno precisare che si ha diritto al riconoscimento del credito d’imposta esclusivamente laddove siano soddisfatti i seguenti requisiti: l’esercizio di un’attività in forma imprenditoriale (restano, dunque, esclusi, liberi professionisti ed artisti) e l’uso per l’esercizio della suddetta attività di un immobile necessariamente rientrante nella categoria catastale C/1, in virtù di un contratto di locazione. Pertanto, qualora l’attività d’impresa
sia svolta in un immobile classificato in una diversa categoria catastale, ovvero in forza di un titolo giuridico diverso rispetto ad un contratto di locazione, non si potrà fruire del suddetto credito d’imposta riconosciuto dall’art. 65 del D. L. n. 18/2020. Nello specifico, l’Agenzia delle Entrate, mediante apposita circolare (3 Aprile 2020, n. 8/E), nel fornire delucidazioni sulle misure adottate con il Decreto Legge “Cura Italia”, ha chiarito che il credito d’imposta per Marzo 2020 è riconosciuto esclusivamente sui canoni effettivamente pagati, di talché, il canone non corrisposto non produrrà il credito d’imposta. Al secondo comma della citata disposizione è precisato che il credito d’imposta non si applica alle attività di cui agli allegati 1 e 2 del DPCM 11 marzo 2020 (attività essenziali) ed è utilizzabile, esclusivamente, in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241. Alla luce della disciplina introdotta con il D. L. “Cura Italia”, quindi, appare chiaro che sospendere di propria iniziativa il pagamento del canone di locazione ovvero ridurne arbitrariamente l’importo configurerebbe un inadempimento contrattuale e dunque una condotta di per sé illegittima.
Qualora si volesse ottenere la sospensione del pagamento del canone o la riduzione dell’importo dello stesso, per il periodo di lockdown, occorrerebbe farne richiesta al locatore per poter giungere ad un accordo bonario o transattivo. In caso di diniego da parte del locatore, sarebbe opportuno cercare l’accordo nell’ambito di una procedura di Mediazione e, in caso di esito negativo, si potrebbe adire l’Autorità Giudiziaria richiedendo la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta ai sensi dell’art. 1467 c.c.. Tale norma sancisce che nei contratti a esecuzione continuata o periodica (come il contratto di locazione), ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione (il pagamento del canone) può domandare la risoluzione del contratto; la parte contro la quale è domandata la risoluzione (il locatore) può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto. Tuttavia, è bene sottolineare che il rischio che si corre percorrendo tale strada è quello di veder risolto il contratto di locazione; il locatore, infatti, potrebbe (ma non è obbligato) offrire di modificare equamente le condizioni del contratto, così come previsto dall’art 1467 c.c., accordando la riduzione dell’importo del canone, a fronte della richiesta di risoluzione del contratto di locazione.
Alla luce di tale ultima considerazione, la soluzione più ragionevole ai fini della riduzione dell’importo del canone ovvero della sospensione del pagamento delle mensilità per il periodo di lockdown, dunque, sarebbe quella di raggiungere un accordo bonario o transattivo con il locatore, evitando così la risoluzione del contratto, mediante la modifica (seppur temporanea) delle condizioni dello stesso.
Locazioni ad uso abitativo
Per quanto concerne i contratti di locazione ad uso abitativo nulla è stato disposto dagli ultimi interventi normativi. Le difficoltà riscontrate durante la fase emergenziale si ripercuotono in modo diverso a seconda che si tratti di contratti di locazione ad uso abitativo per studenti ovvero “ordinarie”.
Per quanto attiene ai contratti di locazione per studenti, infatti, l’impossibilità di frequentare gli atenei universitari, il blocco totale della circolazione su tutto il territorio nazionale ed il rientro di molti studenti fuori sede presso il proprio Comune di residenza spesso si traducono per le famiglie nel pagamento del canone di locazione per immobili (ovvero stanze) che di fatto non sono utilizzabili né fruibili dagli studenti/conduttori a causa della pandemia, ma che, dal punto di vista dei locatori, sono a tutti gli effetti occupati. Anche in tale ipotesi, vale quanto evidenziato in relazione ai contratti di locazione commerciale: sospendere di propria iniziativa la corresponsione del canone di locazione ovvero ridurne arbitrariamente l’importo configurerebbe un inadempimento contrattuale. Dunque, potrebbe rendersi necessario per il conduttore impossibilitato a fruire dell’immobile sciogliere l’accordo contrattuale. In tal caso, è possibile esercitare il diritto di recesso per gravi motivi. In tema di recesso del conduttore, l’art 4 della Legge n. 431/1998 stabilisce che le ragioni che consentono al conduttore di liberarsi del vincolo contrattuale devono essere determinate da avvenimenti sopravvenuti alla costituzione del rapporti, estranei alla volontà ed imprevedibili, tali da rendere oltremodo gravosa per il conduttore la sua prosecuzione. Posto che il contratto di locazione abitativa per studenti è stipulato proprio per consentire a questi di frequentare l’Università, la sopravvenuta impossibilità causata dall’emergenza in corso e dai diversi provvedimenti normativi è una circostanza integrante il “grave motivo” che consente l’esercizio del diritto di recesso del conduttore. Nella comunicazione del recesso devono essere analiticamente specificati i gravi motivi e per l’esercizio del recesso per gravi motivi dai contratti di locazione per studenti è richiesto un preavviso della durata di tre mesi (D.M. 16 Gennaio 2017). Le parti contrattuali, tuttavia, potrebbero altresì concordare per la risoluzione consensuale del contratto ovvero giungere, anche in questo caso, ad un accordo bonario o ad un compromesso per la temporanea sospensione del pagamento del canone di locazione o per la riduzione dell’importo dello stesso.
In ultimo, per quanto concerne le locazioni abitative “ordinarie”, si può richiamare quanto illustrato per i contratti di locazione per studenti: l’autonoma iniziativa del conduttore di sospensione del pagamento del canone o di riduzione dell’importo dello stesso configura un inadempimento contrattuale e dunque una condotta illegittima. La difficoltà economica del conduttore dovuta alla generale situazione di crisi quale conseguenza dell’epidemia e del lockdown non è ragione idonea ad esonerare il conduttore dal proprio dovere di corrispondere al locatore il canone. Anche in questo caso, è rimessa all’accordo tra locatore e conduttore la possibilità di accordarsi su soluzioni di compromesso che consentano la prosecuzione del vincolo contrattuale mediante la rinegoziazione, seppure temporanea, di talune clausole ed relativo accordo dovrà essere redatto in forma scritta (alla luce di quanto disposto dall’art. 1 L. n. 431/1998).