Rispetto al singolo individuo, quello di trasferire la propria residenza nel luogo preferito, è un diritto costituzionalmente garantito dall’art. 16 Cost, ma quando quell’individuo è un genitore separato con prole di età minorenne, può diventare un vero e proprio problema.
Il problema
Infatti, tra genitori separati, quello del trasferimento di residenza, è un problema frequente e si comprende considerando il fatto che, molto spesso, la causa scatenante del trasferimento di residenza è proprio l’intervenuta separazione, la quale induce (o potrebbe indurre) il desiderio a fare ritorno alla propria città natia, quella città che magari si era abbandonata proprio in funzione dell’unione ora dissolta.
Tuttavia, come si anticipava, se vi sono figli minori, il trasferimento di residenza ad libitumda una città all’altra da parte di uno dei due genitori, ed in modo particolare da parte di quello ‘collocatario’ (presso il quale, dunque, risiede il figlio minore), non solo è illecito, ma, ricorrendo determinate condizioni, costituisce addirittura reato.
Ciò è quanto ha stabilito la Suprema Corte nella recente sentenza 29/07/2014, n.33452 con cui ha ritenuto sussistente, sia il reato di sottrazione di persone incapaci (art. 574 C.P.), che quello di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice (art. 388 C.P.), per l’effetto condannando alla pena di 9 mesi di reclusione una madre che si era trasferita con la propria figlia minore, da una città ad un’altra.
Il caso
Il caso è quello di una madre che, una volta separata legalmente dal proprio marito, decide di fare ritorno al proprio paese natio, portando con sè la figlia minorenne, ne trasferisce la residenza e la iscrive, ovviamente, ad una nuova scuola elementare, ed il tutto senza il consenso del marito, padre della bambina, ed anzi a sua insaputa e con modalità ingannevoli.
La particolarità di questo caso sottoposto alla Corte di Cassazione, e deciso con la sentenza che qui si annota, sta nella sua sostanziale semplicità e, per certi versi, banalità, tale da renderlo suscettibile di commissione frequente nella quotidiana vita di separato.
Sì, perchè, se è vero (quale elemento fattuale accertato), che la madre si era allontanata con la figlia senza il consenso del marito, è altresì vero (in quanto elemento di fatto giudizialmente accertato), che la stessa aveva avvertito il padre della figlia, il giorno successivo al trasferimento di residenza medesimo, per cui, quest’ultimo, aveva sempre saputo, o comunque, subito dopo, dove si trovasse la propria figlia, e non aveva mai interrotto i contatti con essa.
Ed allora perchè la Cassazione ha confermato due gradi di giudizio che hanno dichiarato penalmente responsabile la madre per i reati di sottrazione di persone incapaci (art. 574 cp), e mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice (art. 388 C.P.), in concorso formale tra loro, e per l’effetto l’ha condannata a 9 mesi di reclusione?
La posizione della Corte di Cassazione
Con la sentenza 29/07/2014, n.33452 la Corte di Cassazione ritiene che:
risponde del delitto di sottrazione di persona incapace il genitore che, senza il consenso dell’altro, porta via con sè il figlio minore, allontanandolo dal domicilio stabilito, ovvero lo trattiene presso di sè, quando tale condotta determina un impedimento per l’esercizio delle diverse manifestazioni della potestà dell’altro genitore, come le attività di assistenza e di cura, la vicinanza affettiva, la funzione educativa, identificandosi nel regolare svolgimento della funzione genitoriale il principale bene giuridico tutelato dalla norma.
In sostanza, l’aspetto a cui dà rilevanza la Suprema Corte, è proprio l’inibizione o anche solo la difficoltà nell’esercizio della potestà, ora definita ex art. 316 C.C. responsabilità,genitoriale.
Il contenuto illecito ruota proprio, oltre che sulla compromissione degli affetti familiari, sulla capacità della condotta di pregiudicare in misura rilevante la funzionalità propria della potestà [responsabilità] riconosciuta al genitore dall’ordinamento.
Occorre precisare, a questo proposito, che nel caso in esame, la nuova residenza in cui si era trasferita la madre collocataria con la figlia, si trovava a circa 600 km da quella del padre.
Alla luce di ciò, la Corte chiarisce anche che il reato non sussiste quando l’offesa è circoscritta in una dimensione solo simbolica, allorchè la sottrazione sia durata solo pochi istanti, ovvero per un tempo talmente limitato per cui nessuno degli interessi coinvolti possa considerarsi seriamente compromesso.
In sostanza, nella fattispecie, la madre in questione, prima di trasferirsi in altra città, avrebbe dovuto rivolgersi al giudice civile per ottenere, a modifica delle condizioni di separazione, l’autorizzazione al trasferimento e la conseguente modifica delle modalità di esercizio della responsabilità genitoriale del padre verso la figlia.
I precedenti
Occorre dare atto che questa recente pronuncia della Corte di Cassazione si pone, comunque, in linea con l’orientamento assunto dalla medesima giurisprudenza, avendo rinvenuto, in effetti, alcuni precedenti di questo tipo.
Si vedano, a titolo di esempio, la pronuncia Cass. Pen., Sez. VI, 19/02/2013, n. 22911, e la pronuncia Cass. Pen., Sez. VI, 18/02/2008, n. 21441.
Nel caso deciso dalla cit. sentenza n. 22911/2013 si era trattato di una sottrazione di minore, durata due settimane, e compiuta dal padre separato rispetto alla propria figlia, in un periodo in cui la stessa, invece, era affidata alla madre; in questo caso, la Corte di Cassazione conclude per l’annullamento della sentenza ed il rinvio ad altro giudice per difetto di motivazione circa la rilevanza, l’incidenza, rispetto all’esercizio della responsabilità genitoriale, della sottrazione, che, come detto, aveva avuto una durata limitata a due settimane.
Al contrario, nel caso deciso dalla cit. sentenza n. 21441/2008, si era trattato della sottrazione di due figli minorenni, sempre per opera del padre, ma della durata di alcuni mesie consistente nell’allontanamento a molti chilometri di distanza dalla madre. La particolarità di questo caso stava nel fatto che i due genitori non era ancora legalmente separati, ma soloseparati di fatto e solo pendente il relativo procedimento di separazione coniugi (il che, come ha chiarito la Corte, non escludeva la commissione del reato di sottrazione di minori ex art. 574 C.P., ma solo del reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice ex art. 388 C.P.).
Come si concilia ciò con il nuovo art. 337 sexies CC e con la relativa ‘facoltà’ del genitore separato di cambiare residenza o domicilio?
Ora, esposto quanto sopra, il dubbio che sorge è come tutto questo si possa conciliare con la nuova disposizione di cui all’art. 337/2 sexies C.C. introdotta, come noto, con il D.Lgs. 28/12/2013 n. 154, in vigore dal 7/2/2014, secondo cui:
In presenza di figli minori, ciascuno dei genitori è obbligato a comunicare all’altro, entro il termine perentorio di trenta giorni, l’avvenuto cambiamento di residenza o di domicilio. La mancata comunicazione obbliga al risarcimento del danno eventualmente verificatosi a carico del coniuge o dei figli per la difficoltà di reperire il soggetto.
Ad una prima lettura, in effetti, questa nuova disposizione normativa, rubricata «assegnazione della casa familiare e prescrizioni in tema di residenza», rivolta a disciplinare i rapporti genitori-figli in sede di separazione, sembrerebbe, in qualche modo, autorizzare il singolo genitore (la norma parla di «ciascun genitore», dunque, anche quello collocatario dei figli minori), a trasferire liberamente la propria residenza o il proprio domicilio, purchè – e questa sembra l’unica condizione richiesta – lo comunichi all’altro genitore, entro il termine perentorio di trenta giorni.
Allo stato, non vi sono, o comunque non si sono reperite, pronunce sul punto. Tuttavia si ritiene che la norma in questione, in realtà, debba interpretarsi nel senso che si debba considerare come lecito quel trasferimento di residenza (o di domicilio) da un luogo all’altro ma compatibile con il normale esercizio della responsabilità genitoriale dell’altro genitore, così come stabilita e regolamentata dal giudice civile; mentre, se questo trasferimento dovesse incidere negativamente su tale esercizio, ed avvenisse senza il consenso dell’altro genitore, potrebbe dare luogo all’ipotesi di reato qui in esame.
E’ chiaro, infatti, che una cosa sarà trasferirsi da una via all’altra della medesima città, altra cosa sarà trasferirsi a diversi chilometri di distanza (ad es. 600 km come avvenuto nel caso di cui alla sentenza di cui sopra n. 33452/2014) in luogo tale da impedire, o rendereparticolarmente difficoltoso, per l’altro genitore, l’esercizio della responsabilità genitoriale verso i propri figli.
Solo in questo ultimo caso, dunque, la condotta commessa potrà eventualmente dare luogo aresponsabilità penale per il reato di sottrazione di minori di cui all’art. 574 C.P., mentre, nel primo caso, sorgerà eventualmente solo una responsabilità risarcitoria civile ex art. 337/2sexies C.C., qualora il trasferimento di residenza, non comunicato all’altro genitore, ma pur sempre compatibile con le condizioni di separazione e con l’esercizio della responsabilità genitoriale, tuttavia, gli abbia procurato un danno per la difficoltà di reperire il proprio figlio.
Un’ultima osservazione: ponendo, la giurisprudenza di legittimità sopra citata, l’attenzione sull’esercizio, o meglio sull’esercitabilità della responsabilità genitoriale, in un sistema in cui il regime consueto è quello dell’affido condiviso, consegue anche che il reato ex art. 574 C.P., così come la responsabilità risarcitoria ex art. art. 337 sexies C.C., nei diversi profili sopra visti, dovrebbe sorgere non solo quando il trasferimento di residenza (o di domicilio), accompagnato dall’allontanamento dei figli minori, venga compiuto dal genitore ‘collocatario’ della prole minore, ma anche quando esso venga realizzato dall’altro genitore(quello non collocatario), poichè l’effetto, la conseguenza, sarebbe appunto la medesima. Avv. Gattoni